L’inganno del referendum

Di UMBERTO CURI

Se la politica non ci avesse da tempo abituati a ogni sorta di comportamento anomalo, e spesso abusivo, vi sarebbe di che restare allibiti. Ma come? Abbiamo appena votato (chi lo ha fatto) per rispondere a un quesito ben specifico (“Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”), e ci ritroviamo, a meno di 24 ore di distanza, di fronte alla richiesta di trasformare il Veneto in una regione a statuto speciale? Non si tratta affatto di differenze di poco conto. A cominciare da quella più macroscopica: il quesito referendario presupponeva iniziative che si svolgevano a Costituzione invariata. L’attribuzione di uno statuto speciale comporta il cambiamento della Costituzione. Alla base del referendum vi era il concetto di autonomia. A fondamento della posizione assunta da Luca Zaia vi è il primo gradino di un percorso che conduce all’indipendenza.

Il referendum rimanda a ciò che esplicitamente è previsto dall’articolo 116 della Costituzione vigente, e alle “materie” suscettibili di delega dallo Stato alle regioni. La rivendicazione con la quale il governatore del Veneto intende aprire la trattativa col governo centrale riguarda principalmente una materia – quella fiscale –  altrettanto esplicitamente esclusa dal testo costituzionale. Insomma, qualunque persona che sia in buona fede, e che sia dotata di un minimo di raziocinio, comprende che ciò che è accaduto all’indomani del referendum si presenta come una grossolana manipolazione dell’esito della consultazione popolare, come un tentativo provocatorio di adoperare il consenso ottenuto su un terreno, quello della maggiore autonomia, per intraprendere il cammino che può portare alla secessione. Si tratta di un comportamento di eccezionale gravità, contro il quale dovrebbero mobilitarsi anche i cittadini veneti che hanno votato sì al referendum, nella convinzione di chiedere “ulteriori forme di autonomia”, e non di avallare percorsi analoghi a quelli in atto nella Catalogna. Quanto sta accadendo a urne appena chiuse costituisce una conferma di un punto troppe volte trascurato, anche nei (pochi) commenti non convenzionali. E cioè che anche la stessa autonomia – di principio auspicabile, a certe condizioni – non è necessariamente un bene assoluto, se essa lascia mano libera ad un ceto politico inadeguato e inaffidabile. La riprova è appunto l’atteggiamento assunto da Zaia dopo l’esito referendario, “interpretando” arbitrariamente il risultato del voto come viatico a pretendere ciò che il referendum non solo non prevedeva, ma anzi implicitamente escludeva, vale a dire la modifica della Costituzione. Vi sarebbe poi un altro ragionamento da fare, trascurato dai grandi organi di stampa, pur essendo di capitale importanza. A differenza di ciò che dolosamente si è voluto far credere, l’autonomia non implica affatto automaticamente benefici, in particolare sul piano delle maggiori risorse disponibili. Prima ancora, essa porta con sé due implicazioni tutt’altro che trascurabili, quali sono l’accentuato aumento delle responsabilità e una sostanziale dilatazione delle competenze necessarie per far fronte alla gestione di materie in precedenza in capo allo Stato centrale. Qualcuno dovrebbe spiegare su quali basi questi mutamenti possano davvero apportare un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini veneti. Siamo proprio sicuri che l’ente regione sia all’altezza dei nuovi compiti che così ambiziosamente reclama? Non vi è per caso il pericolo che l’arrivo di nuove e più cospicue risorse economiche conosca la stessa sorte dei tanti milioni di euro andati ad alimentare il circuito perverso della politica corrotta, come già è accaduto con le grandi opere pubbliche, dal Mose al passante fino alla pedemontana? Ultimo tema, al quale qui si può solo accennare. Assodato che l’autonomia non è un bene in se stesso, ma solo nella misura in cui si riveli alla prova dei fatti la soluzione migliore in rapporto al benessere dei cittadini, quali sono le dimensioni ideali entro le quali sviluppare l’autonomia? Perché la regione e non una macroregione? O, all’opposto, perché non la città metropolitana, o le provincie o i comuni? Insomma, una volta che sia passata la sbornia referendaria, questi temi dovranno essere davvero affrontati in modo serio, e non volgarmente propagandistico.